4° CONFRONTO POST-SPETTACOLO
con Laura Graziosi
su “Italia Belpaese” di Laura Graziosi
presentato da “Offrome” di Roma
interpretato e diretto da Laura Graziosi
“Italia Belpaese è una maschera, a tratti mostruosa, che riporta in chiave surreale i discorsi delle persone comuni, un pensiero generalizzato sulla realtà odierna che però può nascondere inaspettate conseguenze, soprattutto se ad ascoltarla vi è una mente ingenua perché non ancora allenata con una propria capacità critica; sia perché essa risulta anagraficamente giovane, sia perché è forse sofferente per la mancanza di una guida da parte degli adulti, gli stessi che si occupano invece di riempire la casa, i marciapiedi, i mezzi di comunicazione, i bar, i negozi di tante parole apparentemente innocue.” (Dalla presentazione dell’autore)
Annamaria: Devo fare i miei complimenti, perché è stata un’opera briosa, spiritosa, ma nello stesso tempo ha preso tutti gli argomenti molto molto pesanti che in questo momento ci invadono. L’idea, le è venuta in che maniera?
Laura: Questo spettacolo ha debuttato nel 2011, quindi proprio in occasione dei 150 anni dell’Unità di Italia. E quindi ovviamente quello è stato l’input iniziale: volere raccontare in qualche modo questo anniversario, però cercando di coglierne anche quelli che sono i punti di domanda rispetto a quello che vuol dire l’Italia unita, diciamo così, in tutta, però, la sua diversità; volendola raccontare però da un punto di vista piuttosto grottesco. Diciamo che l’escamotage del personaggio, come se fosse una bambina, vuole essere un modo per raccontare dei temi magari più reali e, comunque, drammatici in maniera quasi surreale alleggerendo la cosa, però riuscendo lo stesso a raccontarli.
Annamaria: è riuscita bene, perché con questa attualità è molto molto difficile rendere poi l’opera abbastanza leggera come è stata. Non è uno scherzo.
Laura: volendo mantenere un contenuto, però raccontandolo in maniera tale che potesse essere anche molto fruibile, perché in fin dei conti quel che si racconta è la quotidianità più immediata di tutte, non è che si approfondisce nessun tema in particolare; però proprio per questo magari chiunque, in qualche modo, può sentirsi coinvolto.
Luigi: i complimenti sono scontati, gli applausi sono meritati. Mi interessava cogliere alcuni aspetti specifici del lavoro teatrale: il primo tra tutti, diciamo, è recitare da soli: è sempre complicato, è sempre difficile fare dei monologhi, soprattutto farli di una certa durata. Mi è piaciuto molto il taglio e soprattutto il ritmo molto stringato. Perché non pensare di fare, invece, con più attori un lavori del genere?
Laura: questo spettacolo è nato con l’idea di un monologo, anche per voler assommare per immagini l’Italia; quindi ho un solo elemento che dice: io solo l’Italia; però dice anche: io sono questo, questo, questo, tanti pezzi di me fanno un solo corpo; quindi proprio guardando un po’ la cartina, sì, lo stivale, ma anche una persona sdraiata, poi ognuno ha un proprio immaginario, si crea una visione. Poi comunque c’è da dire che sono tre anni che ho iniziato un percorso proprio di scrittura di monologhi, che poi metto in scena. Quindi, se vogliamo, questo è stato il mio secondo monologo. Il primo era molto più visionario, questo continua su, comunque, un grottesco, un elemento surreale, però ho voluto un po’ più radicarlo con dei contenuti un po’ più reali, più quotidiani. È stata proprio una scelta mia di percorso professionale, un po’ proprio come idea in sé dello spettacolo, diciamo così.
Luigi:ioaggiungerei ancora un’altra cosa. Siccome talvolta si dice che la realtà supera l’immaginazione, la fantasia, quindi anche il grottesco. Lo spettacolo che abbiamo sotto gli occhi del nostro paese purtroppo è abbastanza doloroso per tanti versi. Oltre il grottesco c’è dell’altro?
Laura: nel momento in cui mi è venuta l’idea dello spettacolo, era l’anno scorso, quindi si sentiva tanto parlare su alcuni canali dell’anniversario dell’unità di Italia: tante commemorazioni, tante feste. Poi io sto a Roma, mi ero appena trasferita, quindi, come dire, lo senti anche di più, se vogliamo, perché vedi musei ovunque che vanno continuamente a rinnovare questa ricorrenza…Però nello stesso tempo parlando con delle persone comuni, mi rendevo anche conto che era tanta manifestazione, ma poi nel quotidiano, molte persone questo senso di unità, questo avvenimento un po’ se lo perdevano, o comunque non riuscivano a dare un significato perché erano sopraffatti dai problemi del quotidiano di questa Italia. E quindi mi sono proprio posta la domanda: come fare a mettere insieme queste due cose? Appunto quello che vuole essere l’avvenimento storico e la celebrazione, sia però la realtà dei fatti che viviamo oggi? Che cosa prendo tra un qualcosa che possa stare a metà tra il reale e il quasi non? Un modo è il grottesco, che mi aiuta in questa direzione, quindi poter anche esagerare dei toni per andare a calibrare, a bilanciare quello che poi vado a raccontare. Poi personalmente vengo da un percorso di Commedia dell’Arte abbastanza lungo, quindi una cosa che mi appartiene molto è la caratterizzazione anche marcata degli umori, dei caratteri e quindi mi sembrava lo strumento migliore in questo caso.
Alessandro: penso che lo spettacolo sia certamente piacevole, nel senso che a fine spettacolo si è sereni, si è contenti di averlo visto, è passata una piacevole ora. Questo sicuramente grazie all’abilità sua di aver saputo mettere in scena un monologo e averlo scritto in questa maniera. Però voglio dire comunque che come operazione rimane epidermica, perché certamente penso che parlare dei temi in quel modo sia abbastanza semplice, facile, non sia difficile: basta guardare il telegiornale e si viene a conoscenza di queste tematiche. E quindi penso che una buona parte dello spettacolo sia stata molto didattica, quasi eccessivamente didattica, specialmente per questo tipo di pubblico di questa sera. E a volte questa tipologia di didattica è però un po’ pesante.
Laura: è leggera o è pesante?
Alessandro: pesante. Paradossalmente, alla leggerezza dello spettacolo è pesante invece la tipologia didattica, perché il tema non viene come lei ha detto approfondito, ma viene detto. E tra l’altro in un periodo storico come questo, parlare di questi temi in questo modo è abbastanza facile, perché se ne parla ogni giorno. Io di questo spettacolo quindi salverei: la piacevolezza, perché comunque è piacevole, non lo metto in dubbio, alcuni passaggi interessanti, battute e il finale, quello in cui dice “stiamo tutti uniti e verrà presto il lieto fine”. Ecco questo finale tutto sommato penso sia interessante, penso che aver creato un’atmosfera gioiosa, contenta nel pubblico e quindi introdurre questo messaggio predisponendo il pubblico in quel modo, beh penso sia utile questo invito a stare uniti in questo modo. Anche se mi viene pure il dubbio che essendo stato scritto nel 2011 questo riferimento allo stare uniti sia un riferimento all’unità d’Italia e quindi anche questo facile.
Laura: va bene, ci sta, anche questa tua osservazione nel definirlo facile, rispetto magari a quelle che possono essere le tue conoscenze. Mi dici: di fronte a questo pubblico: io non lo conosco. Nel senso, questo è il mio spettacolo, poi se di fronte ho scienziati, storici sono felice, però per me possono essere anche persone di qualsiasi altro tipo di preparazione, quindi è proprio una scelta, quella di raccontare tramite la figura di una bambina, proprio per questo: per andare molto diretta e semplice, giustamente come dici, a sfogliare l’album di quello che quotidianamente potrebbe disgraziatamente non andare. E quindi è uno sfogliare un album delle figurine e non a caso appunto ho scelto il personaggio della bambina. Altrimenti si poteva fare teatro civile, no?, quindi andare veramente ad approfondire dei temi e ci sono degli spettacoli e autori che seguono questa linea. Non è la mia, né in questo caso specifico ho voluto fare questo semplicemente. Anzi proprio l’atmosfera del grottesco vuole proprio giocarmi contro in questo senso, rispetto a quello che tu magari ti saresti aspettato, perché appunto il grottesco serve a raccontare in maniera non drammatica qualcosa che invece potrebbe esserlo, rappresentare la realtà in maniera caricaturale. Nel momento in cui fai una caricatura ovviamente vai ad approfondire una cosa, dei caratteri, dei toni, non vai ad approfondire il contenuto nel suo insieme, perché sarebbe un’epopea poi in questo caso, quindi è stata una mia scelta, voluta.
Alessandro: comunque rispetto al pubblico non parlavo di un pubblico rispetto alla preparazione, ma semplicemente a un pubblico adulto, medio borghese.
Laura: sai poi ognuno…non so come dire questo tipo di spettacolo penso che sia…non mi vorrei ripetere…il contenuto ti arriva con una visione generale, poi ognuno se rimane colpito da qualcosa io sono contenta così e si porta a casa le proprie riflessioni.
Annamaria: è invece molto più facile metterlo sul drammatico. Per me è molto più difficile farlo in quella maniera, perché sono tematiche così serie, che ormai anche in televisione, sui giornali…mentre farlo in quella maniera grottesca, ironica e briosa non è facile.
Laura: io ovviamente con questo spettacolo non voglio spiegare niente, andare veramente a denunciare niente. Ripeto, è una linea, poi ci sono altri tipi di messa in scena che invece decidono di andare proprio ad esplorare quel senso lì del lavoro. Sono scelte.
Alessandro: Penso di essere stato sicuramente frainteso, perché io non mi riferivo a questo. È chiaro che è difficile, infatti pochi ci riescono: Benigni, e qualche altro. Anzi è bello riuscirci. Ma non mi riferivo a questo, cioè non mi riferivo alla capacità e all’abilità di raccontare in modo grottesco in modo comico situazioni drammatiche. Mi riferivo invece, alla scelta, all’illustrazione, al modo, ma non al modo nel senso l’abilità dell’artista, dell’attore di utilizzare un registro che si contrappone al contenuto, ma al contenuto stesso.
Laura: probabilmente quando si viene a teatro non bisogna mai avere delle aspettative: forse inconsciamente tu le avevi, come è giusto che sia. “Italia Belpaese” avevi letto, non lo so, la presentazione, ti eri creato un’aspettativa, che andasse a soddisfare alcune tue esigenze. Magari volevi vedere in maniera più approfondita determinate tematiche piuttosto che altre, magari che ti toccano di più, e così non è stato. Mi dispiace. Però, forse, il mio modo di creare spettacoli si aspetta, dal mio punto di vista, che il pubblico sia qua in maniera totalmente aperta. Poi se comunque lo spettacolo arriva, al di là delle tue aspettative in maniera inaspettata, secondo me ho ottenuto il mio risultato. Confidando in qualche modo che anche il pubblico lo sia, per questa piccola cosa che ho potuto lasciare rispetto a questa cosa che ha visto, che sia solo un’immagine, però comunque qualcosa c’è stato e per me va bene così, perché appunto non avevo intenzione di andare oltre quello che poi ognuno di sé deve fare. Io ti do questa fotografia, tu vai a casa e, se in qualche modo ti viene in mente qualcosa che ho detto o che ho fatto, ti sei portato a casa per me il mio spettacolo e sono contenta così.
Alessandro: io voglio aspettarmi qualcosa dal teatro e penso che qualsiasi pubblico …
Laura: no parlavo di aspettativa di contenuto non di…cioè uno arriva e dice “sicuramente mi parlerà di” cioè non si sa, arrivare carta bianca e lasciarsi colpire da qualcosa. Se in qualche modo ti può aver suscitato delle riflessioni per me è già(ride): grazie! Significa che sei stato attento. (leggeri applausi).
Alessandro: Questo vuol dire che la situazione non è proprio buona. Cioè se l’obbiettivo è che il pubblico sta attento, vuol dire stiamo (eloquente)…
Laura: ma non è solo quello!…è ironia, su dai. Un po’ di ironia! Su, dai!
Alessandro: ma infatti ero ironico…
Enrico: Vado con una domanda veramente tranquilla. Si parlava di fuga di cervelli e siamo aggiornati su questo. Prevede anche fuga di attori, operatori di teatro in futuro?
Laura: è una domanda che ci poniamo ogni girono, tutte le ore, purtroppo. Dico purtroppo perché comunque la situazione la conosciamo, è difficile, è difficile in tutti i campi, a maggior ragione il campo come quello della cultura che, senza finanziamenti pubblici, purtroppo non può reggersi, per questioni, insomma, burocratiche e anche secolari ed economiche in sé. Per cui purtroppo, insomma, è una cosa che viene presa molto in considerazione, molti miei colleghi si sono trasferiti all’estero, sì, perché in Italia è difficile girare con il proprio spettacolo, perché le stagioni tendono ad acquistare spettacoli di persone note, quindi rimaniamo eternamente gli emergenti quando magari oramai abbiamo 10 anni alle spalle e insomma vorremmo anche essere, come tutti nel mondo del lavoro, inseriti. Invece rimane ancora una cosa sempre estremamente traballante.
Enrico: E signora Laura, mi sono rivolto a lei perché lei rappresenta la giovane schiera degli attori. Immagino già quanti sacrifici affrontate e quindi: vogliamo volgere tutti insieme un augurio per il futuro a voi giovani? Vogliamo essere un pochino ottimisti in questo pessimismo generale?
Laura: ma si, ci proviamo e anzi il pubblico in questo è fondamentale, fondamentale perché da sostegno sia morale…veramente anche questo scambio, quindi significa che ci sono persone che vengono e hanno interesse anche a conoscere e a riconoscere che hanno visto un lavoro, che poi sia piaciuto, non piaciuto in un modo o nell’altro, però almeno è un lavoro che ha necessità di continuo scambio di continua linfa e quindi il pubblico è la controparte che sorregge veramente tantissimo. È fondamentale, è il motore che porta poi avanti il lavoro dell’artista.
Luigi: l’ha portato anche nelle scuole questo lavoro? Perché molti dei materiali (magari c’è chi si informa, chi legge per fortuna ogni giorno con un po’ di sacrificio) non arrivano a un pubblico più ampio, anzi ai pubblici che meno sono a contatto con questa forma di spettacolo, che è il teatro. Le chiedevo: l’ha portato anche per le scuole?
Laura: no, purtroppo ancora non l’ho fatto, era mia intenzione. Mi devo organizzare in tal senso.
Luigi: è un taglio di pubblico molto ricettivo da questo punto di vista, secondo me. Ma anche dalle scuola più piccole, anche dai bambini più giovani ecco.
Laura: sì, ho già avuto altre esperienze con le scuole, ma con altri spettacoli . Questo non l’ho mai proposto, però è una cosa che vorrei fare. Almeno verificare.
Luigi: saranno sicuramente interessati, perché diamo per scontato che si conoscono dai libri queste cose ma ormai il libro è diventato materiale raro e gli insegnanti fanno grandi sforzi per farlo arrivare, ma non arriva. Con una forma di spettacolo forse arriverebbe meglio.
Emilio: io ho apprezzato lo spettacolo, l’ho trovato molto leggero, l’ho trovato divertente, brioso, come ha detto la signora giustamente prima. Però non nascondo che anche io avrei preferito un taglio più ironico che comico, diciamo. Come ha detto giustamente il signore poco fa è un spettacolo che ha comunque un buon livello di comunicazione primaria, diciamo di primo grado, possiamo dire. Quindi si presterebbe bene alla comunicazione nei confronti di ragazzi. Però, in effetti, anch’io oggi mi aspettavo comunque un taglio più ironico, anche magari freddura al livello di battuta, che comunque faccia riflettere.
Laura: la mia è una scelta in questo senso, cioè andare a colpire veramente la parte più ingenua, diretta e limpida di una persona senza necessariamente anche volerle far del male, perché spesso il pubblico ha necessità invece di quello. Tu adesso [mi fai] del male in qualche modo, perché è anche così, questa sorta di catarsi si vive vedendola nell’altro e tu torni a casa e sei più… (sospiro eloquente). É una linea, una strada, non mi permetto assolutamente di giudicarla in alcun modo, probabilmente in questo tipo di spettacolo non mi apparteneva, cioè, per me, dire che ad alcuni bambini gli è caduta addosso tutta la città, a me arriva immediatamente un pugno qui, anche mentre lo dico. Poi se qualcuno del pubblico ha una ricezione di queste cose più distaccata e voleva ancora dell’altro per farsi male quello poi dipende, sai, sono le reazioni del singolo. Però io mi sono fermata a quel livello lì per andare ad imprimere, appunto, un soffio.