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Posts Tagged ‘Rassegna di teatro’

resistenze0129° CONFRONTO POST-SPETTACOLO 

con Barbara Cerrato e Maria Macri
su “Peppino mani dell’Angelo” di Michele Pagano
presentato da “Officina Teatro” di Caserta
                                  interpretato da Barbara Cerrato                                       e diretto da Michele Pagano

” “Quando lo spirito non collabora con le mani non c’è arte”, sostiene Leonardo Da Vinci. Le mani di Mimma avevano qualcosa di diverso. L’avevano capito i tanti che si affollavano ai vetri della finestra per osservarla. Tutta quella gente non si era mai vista. I bambini erano sempre più numerosi, accorrevano le donne che uscivano solo la domenica per andare a messa, processioni da pesi lontani. Per tutti era “miracolata”, per pochi è rimasto Peppino, Peppino mani dell’angelo. ”                      (dalla presentazione dell’autore) 

Maria: il testo è di Michele Pagano, il direttore artistico di Officina Teatro messo in scena sette anni fa per la prima volta, poi rimesso in scena, riallestito con Barbara dopo circa un anno di prova, per cercare di rendere meno difficili per il pubblico determinati argomenti trattati.

Barbara: prima dell’inizio dello spettacolo sapevo che c’erano giovani nel pubblico ed eravamo un po’ spaventate, però è andata bene. Se a loro è piaciuto penso sia una delle più grandi soddisfazioni.

Claudia: vorrei sapere qualcosa di più riguardo alla genesi di questo spettacolo, cioè come è nata l’idea.

Barbara: l’idea è nata come diceva Maria, sette anni fa e Michele Pagano il nostro direttore artistico ha scritto questo testo ed è stato messo in scena tempo fa. La messa in scena era totalmente diversa da questa! Io ho iniziato le prove, ho letto il testo e lo spettacolo è cresciuto insieme alle prove. Solitamente facciamo così: c’è di base un testo, dopodiché lo spettacolo cresce con le prove. Ho fatto uno studio molto approfondito su Peppino. All’inizio è stato un po’ difficile perché cercavo un barbiere per entrare nella testa di Peppino. A Caserta sono andata un po’ a chiedere in giro, e all’inizio erano un po’ sconvolti: vedere entrare una ragazza e chiedere di fare la barba! E un paio di loro mi ha detto “ma mi stai prendendo in giro?” Mi hanno mandato a quel paese. Dopodiché ho trovato gentilmente questo signore che mi ha seguita, mi ha insegnato a fare la barba, è venuto lui da me, sono andata io da lui al negozio, ho imparato e adesso so fare anche la barba. Infatti dico sempre: male che vada almeno faccio le barbe, mi apro un negozio di barbe. (ride)

Claudia: quindi è un personaggio fittizio?

Barbara: è frutto dell’immaginazione del nostro direttore artistico.

Barbara: dobbiamo tornare a casa, siamo di Caserta, ci mettiamo un po’. Tra l’altro oggi abbiamo trovato anche neve in strada, ghiaccio. Prima facciamo meglio è! Scusateci. Grazie.

 

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resistenze0126° CONFRONTO POST-SPETTACOLO 

con Enzo Scipione
su “Che fare?” di Enzo Scipione
presentato da “Teatrarte” di Formia
interpretato e diretto da Enzo Scipione

“L’opera è tratta dal celebre romanzo di Ignazio Silone “Fontamara”. La disperata esistenza dei “cafoni” cioè di quei contadini che abitavano in un Italia meridionale di inizio novecento, fortemente arretrata. Senza allusioni e sottintesi mostrerà con quanta facilità i potenti di turno, riusciranno a raggirare gli abitanti del paese, con il solo uso della parola, privandoli cosi di ogni diritto, dall’accesso all’acqua, alla libertà di voto. Bisogna lottare anche con gli strumenti della cultura affinché la vita sia migliorie per tutti e soddisfare perciò la fame di giustizia dell’uomo.” (Dalla presentazione dell’autore)

Enzo: oggi la televisione, il computer, il cellulare ci hanno portato un po’ al di fuori della realtà dei giorni nostri. Se io penso a Formia che ha “Acqualatina” [gestore dei serizi idrici locale N. d. R .],(Latina è la mia provincia), è gestita dal sindaco di Formia dal sindaco di Terracina e dal sindaco di Fondi, che sono i tre sindaci delle tre città più grandi e che si sono divisi il territorio, era questa la situazione della deviazione dell’acqua e di tutto il contesto. Il discorso delle camicie nere è un po’ troppo lungo, perché il fascismo in Italia non è mai stato debellato del tutto: intendo fascismo come mentalità, perché siamo tutti noi un po’ fascisti dentro, forse anch’io un po’ lo sono, non lo so, o non me ne rendo conto. Chi sono i veri cafoni oggi? Dico una cosa bruttissima: i morti di Nassiriya, sono tutti del sud. Quindi la penna di Ignazio Silone non si è fermata a scrivere, ha lasciato pensare. È questo quello che mi ha spinto a mettere in scena questo libro “Fontamara” che è , da come dicono, scritto male, uno dei primi e scritto in un italiano un po’ contorto, non si capisce bene dove vuole anna’ a para’. Però scrive determinate situazioni e determinate problematiche di allora che sono dei giorni nostri. Tutto qua. Il testo è  stato scritto durante il fascismo, poi lui ha dovuto scappare in Svizzera. Tutto il mondo ha letto questo libro, tranne l’Italia, non so in quante lingue è stato tradotto, tutti l’hanno letto tranne in Italia, perché all’epoca era proibito, non si poteva leggere questo testo.

Tristano: perché questo spettacolo faceva paura?

Enzo: (ride) visto dagli occhi di un bambino sì, perché anche a mio nipote faceva paura. E forse le cose che dico sono molto brutte. Voi bambini giustamente vedete la vita tutta bella, sistemata, però non è così. Però non è che fa paura, dai. Dormi stanotte? Mah meno male! Forse la scena col mantello ti ha fatto paura. Quello mio nipote dice che è un pipistrello.

Luciano: nel tuo adattamento e riduzione quale filo logico, nonché drammaturgico, hai dato per dare un senso alla storia?

Enzo: Come vi ho spiegato prima è un romanzo un po’ ingarbugliato, sono cose messe lì, senza quasi un filo logico. Io l’ho letto ben 13 volte e il libro parte che non sono in carcere, mentre io ho invertito i ruoli. Io l’ho lasciato in carcere o sono partito dal carcere, perché lui va a fare una denuncia ai carabinieri, per quello che gli è successo, perché l’amico Bernardo viene ucciso. Ecco che si parte dal carcere, spiega tutto ciò che era il suo paese e poi ritorna al carcere a fare la sua denuncia e si vedono le camicie nere, che lo maltrattano e lo uccidono a sua volta. Detto in sintesi, questo è il percorso drammaturgico. Io inizialmente volevo anche accantonare il progetto, perché non riuscivo a trovare un filo. Nel libro c’è anche la storia delle signore che vanno dal potestà, che stanno senz’acqua, ci sono 10, 15 pagine che spiegano tutto: queste signore vanno dal potestà a dire “noi vogliamo l’acqua, noi non ce la facciamo” e spiega l’arsura e i giorni che sono stati senz’acqua ed è una cosa drammaticissima. Parecchie cose le ho dovute mettere da parte,ahimè, perché teatralmente parlando come facevi a metterle in scena? O comunque dovevi trovare altri personaggi, tutto qua. Per le camicie: mi servivano quattro persone che entravano e mi picchiavano, però non possono stare 4 attori ad aspettare un’ora per entrare, e fa ché? Allora ho trovato questo escamotage di queste camicie che si calano dall’alto e…

Luciano: bella la soluzione scenica, bella!

Enzo: è dura portare questo spettacolo in scena, specie in questi anni, è dura, è dura, è dura! Per le tematiche, perché lo definiscono un teatro politico, quando di politico… (tutto è politico se andiamo a vedere), di politico c’è ben poco. Qui c’è il cattivo uso della parola, un fatto storico che viene messo in scena. Possono stare a parlare quanto vogliono loro, la vogliono girare come vogliono loro, non mi interessa, sono cose realmente accadute, non è che dici “mi sono inventato una storia”, no! Io non mi sono inventato niente: ho semplicemente messo in scena.

Annamaria: l’opera è stata ottima, nel senso che ha fatto un’ottima sintesi, perché ha messo in evidenza l’ignoranza di cui purtroppo approfitta il potere. L’unica cosa che è mancata: una parte del libro mette in evidenza la lotta fra poveri, perché per un pezzettino di terra c’è una lotta continua fra i cafoni. E’ una cosa che oggi è attuale, perché noi vediamo che ormai c’è una lotta fra poveri. Dunque, io mi sono meravigliata che non ha messo in evidenza anche questa parte.

Enzo: diciamo che ho voluto mettere in evidenza di più il potere, il potere delle persone più che la guerra tra poveri. Diciamo che la tocco pure un po’, però la sorvolo. Sì, forse sarebbe opportuno approfondire anche questo discorso, però inizialmente il mio pensiero era mettere in scena il potere, il cattivo uso della parola, per abbindolare il popolo.

Annamaria: attualmente lo fanno.

Enzo: attualmente lo fanno e siamo tutti laureati! Però oggi ci facciamo abbindolare per convenienza, non perché non sappiamo. Oggi ci vendiamo perché non “c’abbiamo voglia di lavora’”, quindi voto quel politico che mi mette a posto il lavoro. Mi piace questa sua osservazione.

Alessandro: lo spettacolo che hai messo in scena, dico banalmente: mi è piaciuto molto. Innanzi tutto è di grande interesse, perché c’è la voce di un intellettuale come Ignazio Silone. Tu dici non lo leggeva nessuno all’epoca  non lo legge nessuno, secondo me, neanche adesso. È poco conosciuto. Io stesso non l’ho letto.

Enzo: posso fare un’osservazione? La Lega ce l’ha tolto dai libri scolastici. Ignazio Silone e altri due intellettuali del sud. La Lega durante il governo Berlusconi gli ha tolti dai libri scolastici dei licei.

Alessandro: ah, le buone notizie non mancano mai! Hai fatto una precisazione giusta. E quindi sentire la voce di un intellettuale, una voce forte di un intellettuale che non tanto si conosce, è bello, importante, utile, soprattutto in questo tempo; c’è bisogno di pensare in un certo modo. La messa in scena, penso che non sia tanto interessante dal punto di vista stilistico perché mi sembra che tutte le scelte che hai fatto sono sufficienti, necessarie a dire qualcosa; essenziali, spartane perché c’era qualcosa da dire di molto forte e che è venuto. Vedendo lo spettacolo mi sono rapportato io, la mia storia e ho pensato, soprattutto all’inizio quando si parla di miseria e dell’eredità della miseria: ecco lo spettacolo è molto attuale per le problematiche che ci sono, però nell’attualità manca in questo, cioè che la nostra storia, almeno della mia generazione (20-30 anni) è diversa da quella di quei cafoni, io non posso definirmi mai e poi mai un cafone nonostante possa avere tutti i problemi di oggi. La mia storia ha dietro di me dei padri benestanti, venendo da una ricchezza, da un benessere diffusissimi e quindi la mia generazione si trova alle soglie di una nuova povertà.

Enzo: sono due situazioni un po’ diverse…

Alessandro: sì sono diverse. La differenza tra i miseri del fascismo che secondo me erano molto di più, e quelli di oggi che sono diversi, hanno radici molto diverse, affondano invece in un grande benessere e quindi anche la povertà di adesso è diversa da quella di allora.

Enzo: sicuramente, hai pienamente ragione, però è una questione morale pure. Ho fatto prima l’ esempio tristissimo di Nassiriya. Io trovo triste questo: chi oggi mette la firma per andare a fare il militare. Diciamo “quello è un lavoro”: no, quello non è un lavoro, per niente proprio, non esiste! È triste, la questione è morale, i veri cafoni sono questi, evidentemente. Ignazio Silone parla di gente che sta alla disperazione e non arriva manco al giorno dopo. Quindi siamo cafoni moralmente. Anche per convenienza, la questione è morale oggi.

Alessandro: vuoi dire che la miseria di quei cafoni era una misera materiale e quindi erano persone difendibili di tutto cuore, mentre i cafoni di oggi sono cafoni moralmente.

Enzo: sì. Nel referendum che è stato fatto che io indico, comunque loro hanno avuto la forza di lamentarsi, noi ci siamo lamentati? No, boh. Niente. In Russia si sono lamentati che facevano la fila per il pane gratis, giusto? Oggi fanno la fila per il McDonald’s e pagano e nessuno si lamenta. La stessa cosa per le bollette che ci arrivano:  nessuno dice niente. Poi paghiamo il parcheggio: se non troviamo le strisce blu ci meravigliamo, oggi ho parcheggiato la macchina senza strisce blu, to’! Che bello . Capito? È una questione di cafoni, morale. Eppure forse è una cosa che ci sta bene, eh! Perché parecchi ragazzi della nostra età gli sta pure bene sottostare a determinati potenti. Il ragionamento è quello? La scuola è servita solo per divulgare un pensiero politico che tutti quanti sappiamo fare il bello e cattivo tempo e non un pensiero critico. Oggi siamo tutti politici di noi stessi, ragioniamo tutti come i politici che escono in televisione, che negano e affermano quello che dicono un minuto prima. E’ quello che succede quando parli con un amico, uno dice una cosa, uno dice un’altra cosa, poi nega no? È una questione politica, nel momento in cui tutti quanti impariamo a fare i politici è la fine e non abbiamo più un pensiero critico.

Alessandro: però a parte i cafoni morali, penso ci siano anche oggi cafoni nel senso di povertà, che sono gli extra comunitari.

Enzo: chi l’ha detto che sono extracomunitari, chi gli ha dettati questi confini? Dove stanno? ciò che produciamo possiamo liberalizzarlo gli esseri umani no, gli dobbiamo classificare, perché? E’ assurdo che loro oggi arrivano qua, in quelle condizioni e li meniamo pure. A Lampedusa abbiamo detto no, non li vogliamo perché se no si rovina il turismo. Stiamo fuori con la “ciocca” proprio. Assurdo! Perché farli venire in quelle condizioni? Però l’immondizia ce la portiamo là. Perché checché se ne dica la nostra immondizia viene portata lì. Tutti gli albanesi che sono venuti in Italia negli anni ’90 dovevano venire per forza. Guardiamoci in faccia: il governo italiano ci ha mangiato con Berisha, si sono spartiti i soldi a tavolino, è normale che poi gli albanesi dovevano venire qua.

Alessandro: come interpreti oggi la Chiesa (ho visto che nel tuo spettacolo che la Chiesa è stata molto colpita come istituzione). Vorrei sapere cosa ne pensi?

Enzo: mentre Dio pensava pure ai poveri, il papa diceva “no ma lascia perdere, il principe è un buon cristiano, che vuoi fa’ mo’, vuoi dare la terra ai cafoni? Poi il governo si offende”. Dio che era al di sopra delle parti, cercava di dare buoni consigli al papa e il papa non li prendeva proprio in considerazione. La Chiesa, cosa dire della Chiesa? La Chiesa ha creato anche i cafoni. Come Chiesa intendo l’essere umano. Poi chi crede in Dio, crede in Dio. Ritornando al discorso di prima del potere: cosa fa il potere? ti crea Mussolini, ti crea Berlusconi, ti crea la Chiesa, e altre persone.

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Da questo mese e fino a febbraio 2013 seguiremo la stagione teatrale RESISTENZE012, giunta al terzo anno ed organizzata dal Teatro delle Moliche di Corato (Ba).

Particolarità di questa lodevole iniziativa è la possibilità di confronto diretto che gli artisti avranno con il pubblico presente alle esibizioni. Confronto che in questa, come nelle precedenti rassegne, viene raccolto e registrato da noi di PierrotWeb. Ogni anno dei confronti ne viene fatto un piccolo libricino, agile e caratteristico nella consultazione, poiché ritrae, fermandolo su carta, il pensiero degli artisti e quello del pubblico.

Quest’anno abbiamo deciso di offrirci una ulteriore possibilità di confronto, riportando per ogni spettacolo, un breve riassunto e le parole degli spettatori e degli artisti, sperando che il “confronto” si possa animare anche sulle pagine di questo blog.

Danilo Macina

CONFRONTO POST SPETTACOLO con Pierluigi Tortora
su “GIUSEPPINA, UNA DONNA DEL SUD
a cura de LA BOTTEGA DEL TEATRO di Caserta
di Pierluigi Tortora
interpretato e diretto da Pierluigi Tortora

“Giuseppina è una donna del Sud, che ha vissuto circa un secolo, il ‘900. Una donna forte e debole, umile e orgogliosa, madre e moglie, che appartiene alla sua terra, difficile e affascinante. Una storia di racconti del passato e di ricordi mentre intorno il mondo cambia: il suo rapporto con il progresso, con gli uomini è contrastato, un microcosmo, quello raccontato da Giuseppina, che diventa macro perché le storie somigliano e riguardano tutte le donne e tutti gli uomini che come lei, stupiti ed innamorati della vita, ne hanno smarrito l’orizzonte.” (Dalla presentazione dell’autore)                                                                     

Pieriluigi:  Prima di tutto voglio dirvi che questo “Giuseppina”, è uno spettacolo che ho scritto io assieme a Matteo De Simone, che è un autore di Roma, dedicato ad una donna che ripercorre tutto un secolo: lei nasce nel 1905 e muore quasi alla fine del secolo; e, come dice, vede il mondo cambiare. Nella fattispecie questa donna è stata la mia nonna. Se io so fare qualcosa nel narrare, la vera istruttrice, la vera maestra di questa narrazione è stata lei.

Michelangelo: ha risposto alla mia domanda, ovvero: il personaggio, a chi fosse ispirato; se fosse reale ecc…quindi ho capito che è sua nonna. A questo punto le faccio un’altra domanda. Chiedo: ha sentito una necessità storica a dover rappresentare un personaggio che ripercorre un secolo intero e presentabile in questo momento particolare? Oppure è stata una scelta che è derivata da altri motivi?

Pierluigi: Guarda, questo è una spettacolo che ha due anni e, diciamo, in due anni è già da record averlo fatto un’ottantina, novantina di volte. È nato per questa grande voglia di raccontare, di raccontare la vita di quelli che, altrimenti, la vita non li considera proprio. Nel senso, parafrasando una canzone di Eduardo De Crescenzo, non so se conoscete…scrisse una canzone che si chiama “Uomini semplici” che sono quelli che poi non si vedono, non hanno quella visibilità. Io sono molto molto vicino a queste situazioni quà, a queste persone quà. Ripeto nella fattispecie questa donna era mia nonna, ma era una delle tante donne del Sud, molto impegnate in questa vita fatta di dedizione assoluta alla famiglia, alle persone vicine, ma io che l’ho conosciuta, e anche altre persone, ripeto, anche fatta di una generosità spicciola, di tutti i giorni, di una grande intelligenza, di una grande sintesi. Sì, ho sentito l’esigenza di raccontare mia nonna, ma ho sentito anche l’esigenza di ritornare a raccontare semplicemte, come quando uno sta davanti a un camino e in una sera magari di freddo ti riesce a parlare e non parlarti addosso, perché oggi ci si parla addosso.

Michelangelo: di esperienze come queste sono capitate a tutti quanti. Penso che un po’ ognuno di noi abbia una nonna che racconta storie del genere e questo ci accomuna, penso, e anche se in un certo senso rende il raccontare queste storie un riflesso di quello che ci capita la domenica magari; quindi direi che è stato importante per lei e un riviverlo per noi questo tipo di racconto. È giusto?

Pierluigi: sì, io sono, ripeto, sono felicissimo ogni volta che faccio questa narrazione. Intanto perché faccio il teatro e facciamo il teatro assieme e, due, perché appunto mi riporta in qualche modo, non soltatnto a questa figura, ma mi riporta una voglia di un modo di vivere di cui assolutamente ne sento il bisogno. E quindi c’è questa grande partecipazione, oltre che dell’ “attore”, cioè questa partecipazione umana , prorpio a un modo di intendere la vita.

Michelangelo: quindi è questo che, penso, dovremmo imparare dalle storie di sua nonna?

Pierluigi: io, no, non ho questa pretesa…

Michelangelo: lei vuole solo raccontare…

Pierluigi: sì, io voglio solo raccontare, non ho questa pretesa. Sono felice se, se nel caso, per esempio nella fattispecie con te che sei giovane magari, ho colto nel segno, ho colto nel cuore, ho colto nell’emozione; sono felice, ripeto, doppiamente, come attore per quello che ho raccontato insomma. Sì, sì perchè spesso i racconti di oggi al di là del valore drammaturgico sono dei raccontri “trash”, molto molto grezzi, di poesia ce n’è poca. Ecco io credo che bisogna ritornare molto, ma non per essere in qualche modo, sai, così, gentili di maschera, ma essere veri.

Annamaria: devo fare veramente i complimenti perché ha colto le cose più piccole ma più importanti della vita, forse, di un tempo. Ad esempio quella storia che ha raccontato di suo nonno che portava le paste all’onomastico, cose che ormai oggi…Vorrei tanto che i giovani prendessero spunto da questo racconto che lei ha fatto di sua nonna e capire che le piccole cose sono tanto tanto importanti. Forse quando si diventa vecchi, si ricordano più le piccole cose che ti hanno fatto felice che le grandi cose. E purtroppo oggi i giovani aspirano alle grandi cose. Invece bisogna ormai capire che coi tempi di oggi, con la crisi che abbiamo, bisogna accontentarsi delle piccole cose e le piccole cose sono forse quelle più importanti e le si dà poco valore.

Pierluigi: io ringrazio di questa cosa che ha detto, ma aggiungo questo: che non è tanto nella indole intima, interna di crescita, quanto invece nell’idea che si è data in questo Paese, soprattutto negli ultimi venti anni, dove per esempio una persona ha distrutto la cosa più bella della vita, l’ha proprio sfaldata: l’amore. Ha fatto capire che anche quello si poteva comprare.  Io mi auguro che i ragazzi, soprattutto, vivano tutte le loro esperienze veramente da quella più piccola poi anche a quella più grande. Alla massima aspirazione, al pensiero della grandiosità, perché no? Però è chiaro che il pensiero della grandiosità, parte dal pensiero del piccolo. Cioè l’alfabeto va da a alla z.

Alessandro: lo spettacolo che hai presentato questa sera mi ha colpito particolarmente per diversi motivi. Il fatto è che io penso che sia uno spettacolo veramente carico di significati, di importanza non solo artistica, teatrale, ma anche, penso, storica, antropologica. Innanzi tutto mi ha colpito molto la lingua. Proporre uno spettacolo, oggi, in dialetto casertano in questo modo, secondo me è una scelta forte; a me è sembrata quasi una protesta che, non può avere realizzazioni nei confronti dell’attualità. Vedere un attore da solo senza niente, con un solo sgabello e avere come unico strumento il dialetto è una forma di resisteza fortissima, per quello che sta morendo, o si sta volgarizzando e sta perdendo di senso. Per me è stato molto bello sentire il dialetto, in tutto lo spettacolo, così: la sua vitalità, la sua freschezza, la sua storia. Altra cosa che mi ha colpito è, insieme a questo, la semplicità dello spettacolo, l’essenzialità: non ti sei neanche alzato in piedi, come se tutto è nella parola detta in dialetto. Perchè non è lo spettacolo in vernacolo, comico, ridicolo, ma è invece una reminiscenza, un riproporre un passato che noi non conosciamo più. Quando dico noi, parlo specialemte della mia generazione, cioè quella dei 20/30, io ho 21 anni. Ecco, una storia come questa raccontata in questo modo ci è lontana anni luce, è come se un extraterrestre fosse venuto a parlarci del suo pianeta e delle sue storie. Io penso che il modo con cui noi recepiamo questa storia sia come recepire una favola o una fiaba. La realtà di cui si parla, le storie, i sentimenti, la religiosità, la maternità, il senso di ubbidienza, sono cose che noi proprio non conosciamo bene, a cui non siamo stati educati, che non ci sono state tramandate. Io stesso quando ascolto mio nonno, mio nonno calabrese di montagna, stare ad ascoltare le sue storie, i suoi aneddoti è difficile; c’è proprio una distanza insormontabile. E allora io sono contento di vedere questo spettacolo, di avere l’occasione di vedere un attimo cosa c’era prima.

Pierluigi: questa cosa che dici è importante, perché, tra l’altro, se tu l’hai così bene recepito, è segno che comunque c’è una radice positiva, non per il fatto che tu abbia recepito questo spettacolo, ma perché ti ha riaperto la mente verso un mondo che non hai conosciuto e di cui ce n’è bisogno; sai come si dice, insomma, voglio dire: non c’è futuro senza presente, né passato. E quindi noi dobbiamo tenere presenti le radici. Io anche nella parte della domanda che hai riferito, al non essere lo spettacolo in qualche modo ridicolo, ridanciano, piacione: sì è proprio così, è l’essenza, è un racconto, lei raccontava esattamente così, e se era efficace, lei, che non era un’attrice, ma era un’attrice della vita, proprio perché aveva fatto la sintesi e alla fine…bhè poi andiamo più in un discorso tecnico… Io per lo meno ho un’idea di teatro che è più a togliere che a mettere, i colori, in teatro, mettere gesti, movimenti , poi naturalmente ci sono delle situazioni dei personaggi che si prestano a questo. Però voglio dire è un teatro, questo, della verità. E queste sono storie della verità. Tante volte sono anche storie incomprensibili, come magari ti racconta il tuo nonno. Però poi dopo con un attimo di riflessione, con un attimo di fermo immagine dici: forse voleva dire questo, forse dire quell’altro. Il problema oggi sai qual è, Alessandro? È la velocità: noi ci lasciamo scorrere tutto addosso e non ci fermiamo mai, non ci fermiamo manco più a guardare il cielo, insomma, per cui è tutto molto veloce.

Simonetta: ho vissuto questo spettacolo con una partecipazione emotiva molto forte, perché ancor prima di sapere a chi fosse ispirato, dedicato questo spettacolo, io ho subito pensato a mia nonna. Però, io ho vissuto al nord e in questo spettacolo per quanto fosse incisivo l’uso del dialetto, spesso io ho avuto molta difficoltà a comprendere. Quindi, mi chiedo: perché questi valori, queste tradizioni non possono alla fine essere comunicate a tutti? Quindi: non credi che il dialetto, per quanto incisivo, non possa, in un certo senso, essere un ostacolo alla comunicazione o comunque a trasportare questi valori molto importatanti dovunque?

Pierluigi: no. Sarebbe snaturare tutto, perché è un lavoro di radice ed è un lavoro di radice del sud, non solo di radice mia, della mia terra. Io credo che il nostro Paese, fondamentalmente, abbia questa divisione nord sud, divisione naturale. Credo molto fortemente che la gente del sud sia gente buona, tosta, intelligente, capace, volitiva, e quindi, per tornare seccamente alla tua domanda: se io avessi fatto questo cambio di dialetto verso la lingua italiana, in qualche modo una lingua più comprensibile, non avrei fatto un buon servizio a voi come spettatori e a me come attore e al teatro anche. Perché in teatro, vedi, non sempre si deve capire tutto. Uno se ne può andare anche di emozioni, una parola può anche sfuggire, l’emozione no. Questo è il mio pensiero. Volevo ringraziare Giancarlo che mi ha fatto il tecnico, il mio amico Giancarlo. É una maschera del vecchio cinema di Caserta che non c’è più e adesso è venuto con me questa sera.

Lavinia: volevo fare una semplice osservazione. Io sono rimasta molto colpita da un tema che hai affrontato che è quello della solitudine, che non è isolamento. Una zia di mio padre che poi ho rivisto nel personaggio di tua nonna, io ricordo sempre che, innanzi tutto, mi accoglieva con una carezza e anche se magari non mi chiedeva  di raccontare me, però nel momento in cui raccontava se stessa è come se ti desse delle piccole…dei piccoli consigli, dei piccoli tesori, delle picole lezioni di vita. Anche se sta parlando di lei stessa. Erano dei piccoli doni: il raccontarsi, il narrare è proprio un gesto d’amore.

Pierluigi: la generosità di queste persone qua, e anche la tenacia. La generosità di queste persone è testimoninata appunto in piccoli gesti: mia nonna tutte le sere ci portava delle caramelle di liquirizia, fatte a forma di barchetta e noi le dicevamo “ ‘a no’ hai purtato ‘i barcatell’” . E per venire a trovare questo figlio alla bottega di sartoria lei faceva qualcosa come, ci veniva 4 volte al giorno come dice, e faceva qualcosa come, all’età di 70 e passa anni, 5 chilometri al giorno a piedi, andare e venire, andare e venire, andare e venire….

Lavinia: io penso che più la vita è piena, più è leggera, ma non nel senso superficiale, mentre qua, più la vita è vuota, più la persona tende a raccontare depressione…

Pierluigi: io sono d’accordo, cioè non pigliarsi troppo sul serio non significa non impegnarsi, significa essere leggeri e di leggerezza ne abbiamo veramente tanto tanto bisogno tutti quanti, anche nei fatti seri. Alla fine il nostro è un passaggio.

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E’ giunta al terzo anno consecutivo RESISTENZE 2011, la rassegna di teatro della città di Corato, ospitata dal Teatro delle Molliche.

A dire il vero è una rassegna poco commerciale e piuttosto sui generis quella che il Teatro delle Molliche con coraggio e determinazione propone alla comunità coratina e alle comunità dei paesi limitrofi.

Dieci spettacoli di compagnie provenienti da tutta Italia, un manifesto pubblico che ne descrive regole ed intenti, una rendicontazione dei costi e dei ricavi, nessun contributo pubblico o privato, la possibilità di confrontarsi con gli artisti dopo ogni spettacolo, la trascrizione e la stampa dei confronti in un libretto di gradevole ed interessante lettura, è cosa molto rara.

Di seguito l’intero programma della rassegna.

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PROGRAMMA

 

 12 Novembre – L’INCHIESTA  
di e con Michele Tarallo, Pierluigi Tortora
Francesco Forgione detto Padre Pio da Pietrelcina in seguito alla fama di taumaturgo è stato soggetto a forti critiche e sospetti in ambienti ecclesiastici e non. Nelle  ultime ore di vita, attanagliato da bronchite asmatica, si sottopone, per la prima volta, e di sua spontanea volontà, ad un estenuante interrogatorio.
Compagnia Altroteatroltre – La Bottega del Teatro

 

 19 Novembre – CARNIVORI
di Franco Vangi
con Lavinia Capogna, Vincenzo Losito, Francesco Martinelli, Michele Pinto, Roberto Porcelli
Lo spettacolo come lama affilata affonda nel ventre della società contemporanea blindata in una fiction ipertecnologica che sostituisce la realtà in una quotidianità mediatica intrisa di noir, thriller, erotismo. Si portano sulla scena vicende di perversi incastri mediatici-politici-giudiziari osservandoli alla luce di un possibile riscatto, di un’utopica “catarsi”.
Teatro delle Molliche

 

 3 Dicembre – LA BALLATA DEI VAN GOGH
di e con Marco Bianchini
Se è vero che “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna” si può anche affermare che dietro ogni grande artista ci sia sempre una grande famiglia. È una saga familiare che ripercorre le vicende dei Van Gogh attraverso il racconto della vita del celebre pittore. Una carrellata di personaggi tutti interpretati da un unico attore.
Teatro della Caduta

 

 10 Dicembre – UNA LUNGA ATTESA
di Fabrizio Romagnoli
con Lella Mastrapasqua, Daniela Rubini, Mirella Sorgente, Mally Papagni
Quattro donne, un carcere, una stanza, una partita a carte. Amiche? Nemiche? Chissà! Un incontro sul ring della vita dove esplodono pulsioni animalesche, mascherate da una quotidiana normalità. Frugano nelle crepe di un passato che è più forte di qualsiasi presente, e forse lo esorcizzano nel “gioco” rituale del vinto e del vincitore.
Compagnia dei Teatranti

 

 17 Dicembre – SCATORCHIO BLUES
di Luca Marchiori
con Luca Marchiori, Mattia Airoldi, Piazza Luca
Un paesino dell’Italia centromeridionale sta per diventare una discarica di rifiuti. Mentre gli abitanti protestano, Scatorchio appoggia il sindaco nel suo terribile progetto solo per dare battaglia al  suo rivale in amore. Scatorchio nel suo dialetto aspro e dolce insieme, parla del mondo e della sua fede, creando situazioni comiche, pur commuovendo.
Ilinx Officine Artistiche

 

 14 Gennaio – IL MACERO
di e con Roberto Solofria
È  il racconto dell’insolita sensibilità di un ragazzo, della sua “ottusa” caparbietà nel cercare per sé stesso una strada diversa. Del suo disagio a vivere in una comunità in cui l’attitudine al delitto è divenuta scorza callosa e la banalità rimedio ad ogni ingiustizia. Un inferno quotidiano, quello dell’Agro-aversano, che non genera nemmeno eroi ma solo martiri.
Mutamenti  

 

 21 Gennaio – FEGATO DI CANE
di e con Rolando Macrini
Lo spettacolo, storia di uno spettacolo di teatro sperimentale mai messo in scena. È il racconto di una tragedia annunciata: la produzione di uno spettacolo di teatro. Dopo una ispirata e vecchia lettura notturna del capolavoro “Cuore di Cane” di M. A. Bulgakov, si cova segretamente per diversi anni il desiderio di mettere in scena la novella bulgakoviana.
Teatro Eliocentrico

 

 28 Gennaio – GARBATELLA
di e con Julia Borretti, Titta Ceccano
e con Roberto Caetani
La storia d’amore tra Tommaso e Irene nella Roma degli anni ’50 fa scoprire il grande intellettuale Pier Paolo Pasolini, semplice e profondamente umano. I due giovani s’incontrano, si conoscono e a fare da sfondo è la Roma della ricostruzione, popolata da bambini vocianti e da ragazzi che riempiono le sale fumose del cinematografo.
Matutateatro

 

 4 Febbraio – HAMBURGER
di Leonardo Losavio, Francesco Nikzad
con Roberto Galano
Storia di un ragazzo violento che, dopo una serie di eventi negativi, affronta il riformatorio, fino all’incontro con un terapeuta, che lo indirizza verso la boxe. Il linguaggio usato è frutto di uno studio e di una sperimentazione ben precisa, ossia il tentativo di rendere la comunicazione assolutamente diretta e senza orpelli stilistici.
Teatro dei Limoni

 

 11 Febbraio – MEDEA
di Euripide
con Annika Strøhm, Saba Salvemini
Medea, la donna di cuore devota al letto nuziale ed alle sue antiche leggi sposa l’uomo di ragione ed azione che appartiene allo stato ed alla società. Una storia che, in un mondo di genitori che fanno di tutto per crescere al meglio i figli, si fa tragedia in nome dell’amore. In scena a rivivere il dramma due soli attori, come ai tempi dell’antica Grecia.
Arete Ensamble  

 

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INFORMAZIONI

ORARIO:  Prima replica ore 18,00  •  Seconda replica ore 20,30
Ingresso con tessera sociale di Euro 50. Non è possibile acquistare biglietti.
Al termine di ogni esibizione si svolgerà un confronto collettivo per la stampa  del libro “Resistenze 011”.
INFO: 338 4234106

Teatro delle Molliche – Via Ruvo, 32 Corato (Ba)   teatrodellemolliche@libero.it

 

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Danilo Macina

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