3° CONFRONTO POST-SPETTACOLO
con Antonio Damasco e Valentina Padovan
su “Comizi d’Amore” di Antonio Damasco
presentato da “Teatro delle Forme” di Torino
interpretato da Antonio Damasco e Valentina Padovan
e diretto da Antonio Damasco
“Il soggetto è ispirato al film documentario di Pier Paolo Pasolini del 1965. Pasolini volle parlare di “prima volta”, di “prostitute” e di “divorzio”. Oggi, quasi cinquant’anni dopo, come sono cambiate le opinioni in merito? Ci interessa capire, osservare, raccogliere e narrare come questo avvenga nell’era globalizzata di internet, dei social-network, le nuove piazze virtuali, dei blog. Siti web, annunci, diari virtuali raccontano una necessità d’Amore travolgente, la stessa che già, qualche tempo prima, travolgeva padri, madri, nonni e parenti tutti anche se, forse, in maniera differente.” (Dalla presentazione dell’autore)
Sara: dal momento che le avete poste a noi, durante lo spettacolo, io vorrei sapere qual è la vostra posizione nei riguardi delle domande che avete fatto, rispetto a quello che ci avete chiesto.
Antonio: rispetto a quali domande?
Sara: condividete quello che abbiamo detto noi?
Antonio: io ho due bimbe, piccole, e la prima volta che mi sono posto la domanda, per esempio, su un eventuale suo fidanzato o marito di religione islamica, io ho delle perplessità, ho dei pregiudizi. Riconosco di avere dei pregiudizi. Quindi ho delle problematiche sicuramente. Noi ci dobbiamo porre, per quello che è il nostro obiettivo, come persone che non giudicano. Siamo due persone normalissime, con la loro vita e quindi abbiamo i nostri dubbi, le nostre perplessità. Anche questo credo che cambi molto: la conoscenza. Se hai nella tua comunità persone omosessuali, che hanno bambini, per esempio, noi abbiamo conosciuto, grazie a questo lavoro, delle ragazze che vivono insieme, hanno una bambina molto bella, e, per esempio, la conoscenza elimina il pregiudizio. Probabilmente se dovessi conoscere una coppia dove lui è musulmano e lei è cattolica, romperei anche quella barriera lì.
Sara: Sì, potrebbe aiutare a sradicare il pregiudizio… La mia domanda è sorta perché voi avete attinto delle informazioni da noi: cioè conoscete qualcosa in più di noi e però noi non conosciamo qualcosa in più di voi.
Antonio: questo è il nostro vantaggio: permettici (ride).
Sara: Però io sono venuta qui con anche la pretesa di conoscere qualcosa di nuovo, che effettivamente mi è giunta attraverso il confronto col pubblico, ma non con l’attore.
Antonio: Guarda, però, per il nostro concetto di teatro, il teatro risposte non ne dà. Il teatro mette dei dubbi e poi ognuno se li cucina a casa propria. In realtà alcune cose teatrali che abbiamo fatto forse in qualche direzione andavano, quello sul cantastorie nel campo di concentramento, la necessità della cultura o quello dell’omosessualità in campo di concentramento. Però se le curiosità sono personali, la mia risposta è: ho delle perplessità anche io, credo che le risolverò nel momento in cui incontro quei casi.
Valentina: A me ha colpito molto la risposta di Musatti e di Moravia, quando parlavano appunto del fatto che in qualche modo l’ignoranza, nel senso di ignorare quindi di non conoscenza, sia collegata alla paura, no? Io devo dire che personalmente sono molto più curiosa e colpita da come le persone rispondono alla domande, nel senso: molte domande a me sembrano scontrate, non lo so, anche soffermandomi a sentimento, come chiedo alle volte quando le persone non trovano il coraggio di rispondere perché è questione di coraggio, o non rispondo o rispondo in maniera falsa: bisogna trovare il coraggio di rispondere, di dire effettivamente… come c’è anche un tempo per pensarci, perché a caldo uno risponde, poi metabolizza e riporta magari un altro pensiero, magari più articolato. Questo mi colpisce molto, però, grazie anche alle risposte del pubblico, io ho trovato degli aiuti a quelle che erano le mie risposte di pancia che venivano automaticamente, per esempio, è venuto fuori sulla domanda “sei favorevole o contrario ad una coppia omosessuale che decide di avere figli?”, alcuni mi hanno risposto: “sarei preoccupato per l’ambiente, non per la coppia che accoglie questi figli, ma per la società che accoglie figli di coppia omosessuale”; la domanda sulla prostituzione: “vocazione o costrizione”: abbiamo trovato anche una parte buona di vocazione, per esempio, ad Arezzo. E questo è interessante, appunto, per il lavoro di inchiesta e già Pasolini lo fece, perché si metteva l’accento sulle differenze tra nord e sud, tra i ceti sociali differenti e ne è venuta fuori una cosa diversa da quella che ci si aspettava, un po’ come, un po’ stiamo riscontrando anche 50 anni dopo.
Luca: Il mio problema è questo: se vediamo la situazione delle coppie omosessuali da un determinato punto di vista, possiamo vedere questa situazione come un cambiamento di una opinione pubblica. Cosa voglio dire? piano piano le persone si stanno abituando o stanno pensando che è qualcosa di possibile, legale, non amorale quella di stare con una persona dello stesso sesso. Quindi c’è questo “shift”, questo cambio di opinione. Quello che io mi chiedo: come c’è stato questo cambio di opinione su questa materia, non ci può essere un cambio di opinione su altre materie, ad esempio, la pedofilia? Cosa voglio dire? Fin dall’antichità ci sono stati casi di pedofilia, come ci sono stati casi di omosessualità; per un certo periodo a causa della cultura cristiana tutti questi casi sono stati taciuti. E quello che mi chiedo: in questo momento noi consideriamo, per esempio, la pedofilia qualcosa di estremamente negativo, ma in un prossimo futuro, se l’opinione comune cambiasse, anche questo tema della pedofilia sarebbe accettabile come piano piano noi stiamo accettando il tema dell’omosessualità? Non è una domanda a voi come attori, ma a voi come persone, diciamo, intellettuali…
Valentina: Morale deriva da “mos, moris”, no? Quindi usi e costumi. Gli usi e costumi seguono la condotta umana. Quindi io credo che possa anche avvenire qualcosa del genere. La pedofilia, anche lì, l’etimologia della parola è amore nei confronti dell’infante, quindi è amore, sempre. È un discorso molto articolato che abbiamo affrontato, anche, preparando lo spettacolo, perché effettivamente una ragazza di 11 anni a cui arriva il ciclo è naturalmente propensa a riprodursi, la natura ci sta dicendo che in quel caso potrebbe essere. Però dobbiamo renderci conto che ci sono una serie di sovrastrutture culturali, che in qualche modo abbiamo introiettato. Però come dici tu, se stiamo riuscendo, perché credo che questo sia il tuo sentimento, che nella società stia avvenendo questo passaggio, in qualche modo si arriverà a percepirlo come consuetudine, il fatto che una coppia omosessuale possa stare insieme, possa avere dei diritti come coppia e ad avere dei figli. Probabilmente, io credo che potrebbe anche succedere, non so quando, non so come, però potrebbe…
Antonio: Un anno fa feci le stessi domande che stiamo facendo a voi a Barcellona: c’era un laboratorio teatrale, con dei ragazzi che lavoravano con me per una settimana e lì, visto che 5 anni fa uscì questa legge per la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e naturalmente anche dei figli, era un dato di fatto, non c’era dubbio, il 99,9 % accettavano immediatamente. Io non so rispondere alla tua domanda, penso però lo metterei nella casella “colpe dei padri ricadono nei figli”, nel senso: siamo noi a decidere com’è la nostra società, quindi evidentemente c’è da capire cosa succederà. Possono essere molti i cambiamenti di costume. Hai toccato un tasto complesso, difficile. Però un tasto che dovrà in un modo o nell’altro gestito dalla società stessa, cioè quindi da voi che siete un po’ più giovani di me o quelli dopo di voi. È evidente che in assoluto “impossibile” non esiste, attualmente lo vedo abbastanza impraticabile (anche come domanda ci ammazzano!); nell’idea politica di…in un’idea di discussione dialettica che stiamo facendo, non accorperei le due cose: cioè l’omosessualità non c’entra niente con la pedofilia, questo ovviamente penso che siamo tutti abbastanza d’accordo, ma attendere quello che sta capitando e che per esempio la famiglia che noi conosciamo, che noi conoscevamo, non ha più la stessa fisionomia, sta mutando, questo mutamento però mi sembra in parte voluto da noi stessi, insomma, altrimenti non si spiegherebbero la quantità di persone…Non so se avete visto i dati sui divorzi e sui matrimoni, o sulle famiglie allargate, che ormai sono una realtà non dico maggioritaria ma quasi, sta veramente rendendo moltissimo alla nostra società.
Alessandro: Trovo innanzitutto bello, nobile e utile riproporre la voce di un intellettuale, come Pasolini. Mi ha scosso, mi è piaciuto molto…piaciuto, beh, non è proprio la parola corretta. Voi avete preso “Comizi d’amore” di Pasolini e ne avete riproposto diversi stralci, diversi frammenti, però avete dimenticato di riproporre la fine, di farci vedere come finisce il documentario di Pasolini. Perché la stessa vostra proposta non ha una fine. Sarebbe stato, trovo, molto più interessante confrontare la fine del documentario di Pasolini, quindi col suo giudizio riguardo l’Italia della metà degli anni ’60, con un giudizio vostro o comunque di voi che avete condotto l’indagine parallela, riguardo un giudizio dell’Italia del 2012 e farne un confronto, vedere le evoluzione e sovrapporre. Trovo che questo sia mancato. In secondo luogo riguardo invece lo spettacolo in sé, è uno spettacolo che provoca, penso, tante reazioni, già il fatto che si vada nel pubblico direttamente crea necessariamente delle reazioni impreviste. Trovo il contrasto tra le scene di Comizi d’amore e il vostro modo di rappresentare e di teatralizzare; nel senso che Comizi d’amore lo trovo pervaso da una dolcezza, una tranquillità, mitezza che invece sono di contrasto a una specie di inquietudine che voi trasmettete nella vostra rappresentazione e quello che dite e come lo dite. Trovo inoltre che il vostro modo di fare domande al pubblico, non penso sia utile, almeno nel teatro, poi non so, per strada forse sì, ma nel teatro qui dove l’avete fatto voi, non penso sia utile, perché vi ponete in modo teatrale non naturale al pubblico, che è naturale. Cioè voglio dire che nel modo di porre le domande, voi vi teatralizzate, siete teatralizzati e teatralizzate ciò che fate e quindi vi ponete in modo innaturale rispetto a un pubblico che recepisce naturalmente e quindi si sente di conseguenza inibito a rispondere o provocato. Non c’è naturalezza come nel documentario di Pasolini, invece c’è sempre distanza. E questo voglio evidenziare rispetto al documentario di Pasolini, cioè queste differenze forti: nel documentario di Pasolini c’è una grande naturalezza ed è piacevole, mentre qui no, qui c’è tensione proprio per questo contrasto.
Antonio: Non è una domanda, quindi non devo rispondere, no?
Alessandro: La domanda è perché non avete messo la fine del documentario?
Antonio: Lo spettacolo, come dichiarato, è un teatro inchiesta che è partito due settimane fa, terminerà fra un anno. Noi il 3 ritorniamo a Torino, lo rimettiamo in prova, grazie ai risultati e alle risposte che stiamo avendo, abbiamo avuto anche da voi. Quindi cambierà ulteriormente. Se voi poteste vedere lo spettacolo fra un anno ne trovereste un altro. Un esperimento anche nel teatro questo, quindi capisco quello che dice Alessandro, perché questo non è l’aspettativa del teatro che probabilmente aveva Alessandro, il nostro è un altro esperimento: non è nuovo, il teatro greco spesso faceva così, mutava a seconda delle persone che aveva davanti. Quindi noi fra un anno, ma non solo, fra quattro mesi, fra tre mesi, molto probabilmente la prossima replica sarà ancora, no, la prossima no perché è uguale, perché siamo a San Severo, ma fra un mese sarà ancora diversa. Il perché non c’è un finale è una scelta, perché, noi, il nostro finale sono le domande e non vogliamo dare nessun giudizio, nessuna risposta. Il documentario di Pasolini ha un altro taglio rispetto a quello che noi vogliamo fare: il documentario che noi faremo (perché noi faremo un documentario fra un anno con tutte le interviste le domande che avremo fatto, ecc.), vedremo che taglio debba avere: non è detto che abbia la stessa e identica dolcezza di Pasolini e neanche la nostra tensione, magari ha un’altra cosa ancora. L’unica cosa che mi sembra interessante dire è che il nostro concetto di teatro, che può piacere o meno, è di un teatro vivente, quindi vuol dire che noi oggi sappiamo quello che è successo, domani anche, fra un mese no, stiamo già pensando di mettere dei pezzi, toglierne altri, soprattutto sulla prostituzione, perché c’è stato un grosso dibattito. Crediamo che sia un progetto di questo genere. Quindi se la domanda, per non rispondere a quello che dice giustamente Alessandro, che ha una sua opinione, e perché non il finale, perché noi abbiamo scelto di non avere il finale, né di Pasolini, né il nostro.
Alessandro: Dico che facendo così rischiate che questa opera sia inutile, perché Pasolini volutamente ha bisogno, lo dichiara, di un appoggio intellettuale, infatti interpella Musatti e Moravia e lui conclude. Rischia di essere inutile, perché, senza la mediazione intellettuale che non è il giudizio diciamo morale, ma è il giudizio sociale, sociologico, rischiate di non lasciare un documento, rischiate comunque alla fine di non lasciare testimonianza e traccia, ma di lasciare una cosa a metà.
Antonio: In realtà no, ripeto, il lavoro di teatro, l’inchiesta che stiamo facendo, gira in l’Italia, ha intanto il senso di nutrirsi di quello che sente e vede (si nutrirà anche delle tue opinioni), ma ha intenzione di lasciare un documento, nel 2013 perché siamo, al 50esimo anniversario di quando Pier Paolo Pasolini fece Comizi d’amore. Ora ti rispondo come intellettuale: (questa è la risposta registica teatrale): la risposta da persona, da intellettuale fuori di qua: non credo assolutamente che noi dobbiamo dare delle risposte, non così didascaliche. Le persone che usciranno da qua avranno le loro risposte, anche in questa loro piccola tappa, che non è completa, perché è completa fra un anno. Questa è la mia opinione però, che naturalmente è un’opinione personale, e non è un giusto o sbagliato. Sull’inutilità di questa operazione, lascerei naturalmente che vi esprimeste voi e non posso contestare: quando un attore si mette in scena, si spoglia nudo e dice: “giudicatemi”. Quindi il vostro Giudizio è assolutamente principe e sempre giusto.
Alessandro: Per evitare un fraintendimento, non intendevo risposte, nel senso alle domande precise che avete fatto, ma intendevo un giudizio su…
Antonio: Io ho inteso benissimo. Io ho inteso bene, però anche su quello non sono d’accordo come intellettuale; come teatrante dico che il giudizio è vostro, non è mio, io il mio l’ho fatto, come dire? Quando un cuoco cucina, fa una bella pietanza, la dà al tavolo e poi chi mangia giudicherà quel piatto e ha sempre ragione chi mangia non chi fa il piatto, come teatrante. Come intellettuale non concordo sul giudizio, perché credo che il ruolo debba essere un altro e che in realtà un giudizio, debba arrivare a chi è dall’altra parte, però questo è un fatto personale.
Alessandro: Però lei non sta dicendo che non è d’accordo con me, ma sta dicendo che non è d’accordo con Pasolini, che lei ha ripreso.
Antonio: No, no, non credo di dire questo, però vabbe’…è un’opinione e rispetto la sua, assolutamente.
Celeste: Io vorrei porre una domanda sulla scelta del costume di scena: perché il nero, perché scalzi?
Antonio: Il nostro era un tentativo di eliminare qualunque, anche i capelli, di mettersi abbastanza al servizio di questi cambiamenti, dove potessimo risultare meno personaggi possibile: una sorta di neutralità che non esiste, è un’illusione assolutamente, una convenzione. Quindi chiediamo al pubblico di accettare la convenzione del fatto che non siamo personaggi: questa è anche una nostra poetica ed evoluzione in questi anni: noi stessi non crediamo molto nei personaggi: se voi vedete gli altri lavori del “Teatro delle Forme”, non ci sono più personaggi, non esistono più, esistono relazioni, ma non sono più personaggi: quindi il costume riflette un po’ una poetica che il Teatro delle Forme sta un po’ portando avanti, sull’assenza del personaggio in scena.
Francesca: Io volevo fare una domanda per quanto riguarda una scena dal punto di vista attoriale: c’è stato un momento di interazione tra due attori, nel momento in cui le luci sono cambiate e sono diventate blu e con quella musica di sottofondo avete fatto quei movimenti…ecco io vorrei un po’ sapere se è una metafora del rapporto tra uomo e donna e nella relazione…Ho notato a un certo punto, quando vi siete bloccati al centro che fosse come una similitudine: l’uomo o la donna oggetto, l’utilizzo dal punto di vista sessuale e poi il riuscire a trovare una relazione che andasse oltre. Ecco, era questo il senso?
Antonio: A noi va benissimo quello che hai trovato tu. Nel senso che il nostro senso era molto semplicemente l’impossibilità di incontrarsi, la difficoltà di incontrarsi e che forse poi dopo, se avete notato, il video dopo, Amanda, quella ragazza che poi si è uccisa malamente (non se avete seguito il caso!); perché lei si è ammazzata, bevendo un litro di candeggina. E lei, se avete visto, tirava i suoi foglietti, ha indugiato per un secondo in più su un solo foglietto, che era il penultimo, con su scritto “sono sola ho bisogno di qualcuno”. E ci siamo permessi di riproporre quel video, perché la madre ha deciso di lasciare su Youtube a monito, come scuola, come insegnamento. Perché spesso utilizziamo questi mezzi, interessanti, bellissimi, ce l’ho anche io, fondamentali, ma che bisogna saper usare, perché sono rischiosi. Noi abbiamo avuto una di queste discussioni a Torino, una signora che è venuta abbastanza in lacrime, perché sua figlia non può più entrare su Facebook, perché non so cosa abbia sbagliato, se abbia messo una fotografia sbagliata, detto qualcosa…comunque appena entra, l’ammazzano di parolacce. Quindi sono strumenti difficile. La scena a cui lei si riferisce è proprio, per noi era un tentativo di dire è difficile incontrarsi, difficile parlarsi, difficile…abbiamo tanti amici su Facebook, tante relazioni eppure non riusciamo a incontrarci. Quello che poi lei ha provato è un’evoluzione ancora ulteriore che è assolutamente bella.
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