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Posts Tagged ‘Seravezza’

E’ ormai da tempo che le scuole di teatro di Corato e Seravezza (Lu) sono gemellate. E con loro sono gemellate anche le due riviste Delatre e Pierròt. Così ad ogni numero i redattori di Seravezza danno un  loro contributo scritto a Pierròt e di conseguenza i redattori di Pierròt offrono il loro contributo scritto al Delatre.

Di seguito pubblichiamo uno degli articoli che i lettori del Delatre potranno leggere sulla loro rivista in uscita questo mese, ma che, per ovvie ragioni, i lettori di Pierròt non troveranno sulla nostra. E’ l’articolo del maestro Francesco Martinelli, al quale riconosciamo sempre più la grande passione artistica e che personalmente riscopro nelle vesti di scrittore. L’articolo pubblicato è nella versione integrale, mentre i lettori del Delatre potrebbero trovare sulla loro rivista una versione “accorciata”, per i noti problemi di spazio che ogni buona rivista incontra sul suo cammino.

LA RICERCA DEL SANTO GRAAL

Quattro giorni fa nascosto dietro un pero selvatico assistevo ad una condanna a morte eseguita sul monte poco fuori la città. Da tempo non si eseguivano crocifissioni. C’erano  tre uomini sulle grandi croci.  L’uomo sulla croce centrale pareva giovane ma da lontano non riuscivo a vederlo. C’era poca gente, i familiari dei condannati preferiscono non essere presenti per evitare la disumana sofferenza mentre i conoscenti si tengono alla larga per paura di essere accomunati ai balordi. Quelle pochissime persone presenti erano in ginocchio sotto la croce centrale immobili. Volevo osservare tutto attentamente. Ammiro le mani che s’intrecciano, gli occhi che si fuggono, imitandoli rappresento la vita. Ammiro i cuori che non palpitano, le vene che non pulsano, ma non riesco ad imitarli. La morte è il mistero di un opera incompiuta. Mi misi a studiare le posizioni di quei corpi sui legni, riproducendole tecnicamente con le spalle al pero, modellando gli arti e appoggiandoli al tronco e ai rami robusti. Non riuscendo a vedere i volti, provai ad immaginarli. Ero irrequieto e nervoso, non riuscivo a recitare in maniera esatta gli stati d’animo che provavano quegli uomini mentre morivano dolorosamente. Come usare gli occhi, i muscoli facciali e la voce? Urlavano o emettono solo mugugni di dolore? Ero troppo lontano per sentire e vedere. Mi dovevo affrettare, la scena da imitare a breve sarebbe terminata, sarebbero rimaste solo grandi croci vuote ed io dovevo aspettare chissà quanto tempo prima di vedere un’altra condanna a morte. Mentre con fatica fissavo l’uomo al centro che muoveva il capo, all’improvviso esegui dei movimenti incoscienti, con gli occhi al cielo, il capo pesante su un lato, il respiro profondo e con molto affanno, dissi “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”. Era la prima volta che riuscivo a provare  la verità nella recitazione, avevo vissuto davvero quel momento e poi perché quelle parole? Corsi velocemente verso il picco del monte per vedere da vicino chi fosse colui che mi aveva ispirato. Feci appena in tempo a sentire la sua voce “E’compiuto” e morì. Aveva parlato proprio come me, o meglio io avevo parlato proprio come lui. Vidi un certo Giuseppe D’Arimatea, sotto la pioggia improvvisa, prendere una coppa e raccogliere del sangue dal costato, compiendo un atto volgare, utilizzando una comune coppa da vino, in un momento di estrema passione. Questo Giuseppe mi apparve misero, povero, senza virtù, privo di qualsiasi sensibilità. Stava raccogliendo sangue per ricordare. Perché voleva una memoria simile? Perché la carne deve sanguinare per ricordare? A me, pur avendo assistito da lontano sotto un pero selvatico, non serviva la coppa per ricordare quell’uomo che mi aveva fatto scoprire per la prima volta la bellezza di essere vivo e mi aveva fatto provare davvero delle emozioni. Sono passati quattro giorni e da ieri in città dicono che è risorto. Il suo corpo è scomparso. Questa è la giusta fine per un teatrante, non lasciare niente di materiale! Tanta gente si è messa alla ricerca di quella coppa. La memoria degli uomini ha bisogno di tessuto, gesso, pigmenti, deve essere custodita nella materia che si tramanda.  La memoria non è nella materia, è ben altra cosa. Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e i sogni non sono materia. La coppa un giorno sarà smarrita e forse miseri uomini dimenticheranno. Sono sicuro però che qualcuno ricorderà senza coppe, né sangue,  né quadri, né statue, né film, né libri ma semplicemente per il solo fatto di aver voluto osservare di nascosto dietro un pero selvatico, provando a recitare la morte in croce di un povero Cristo.

Francesco Martinelli

L’invito ovviamente è a commentare sia questo che tutti gli altri articoli, anche quelli della rivista, a esporre il proprio pensiero e a fare delle riflessioni, perchè si possa animare il dibattito ed alimentare il confronto tra i lettori e i nostri “scrittori”.

Danilo Macina

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